Sentirsi donna, intraprendere un lungo percorso per diventarlo a tutti gli effetti, affrontare con coraggio terapie e sacrifici, ma essere ancora “condannata” a una voce maschile. Per innumerevoli persone transgender MTF, questo è un problema che compromette pesantemente la qualità della vita, tanto da diventare un vero e proprio chiodo fisso. Per fortuna esistono diversi approcci terapeutici che si sono dimostrati sicuri e risolutivi. Uno fra tutti, la logopedia. Abbiamo incontrato la dottoressa Dorella Minelli, che vanta un’esperienza trentennale e attualmente coordina il servizio di rieducazione vocale per persone transgender presso il Centro Italiano Logopedia.
Quanti pazienti transgender sta seguendo in questo periodo?
Il Centro Italiano Logopedia è il primo in Italia a occuparsi di femminilizzazione e mascolinizzazione della voce. Abbiamo iniziato qualche anno fa e il numero di nuove richieste è aumentato con il tempo, arrivando a un ritmo di due o tre al mese.
Dove si trova il Centro Italiano Logopedia?
Abbiamo diverse sedi, tra Verona – dove siamo in contatto con l’associazione SatPink – e Brescia.
È possibile chiedere un consulto anche a distanza?
Visto che ci arrivano sempre più spesso richieste dall’Italia e dall’estero, diamo la possibilità di seguire la terapia anche su Skype. Di solito però le persone transgender ci tengono a incontrarci di persona almeno per il primo colloquio conoscitivo. Le comprendo, perché è giusto che abbiano gli elementi per decidere se si possono fidare di noi.
La rieducazione della voce è richiesta da persone MTF, FTM o entrambe?
Di base è richiesta da entrambe, ma abbiamo un’altissima percentuale di femminilizzazione della voce per un motivo endocrinologico: gli ormoni femminili non cambiano per nulla la voce, quelli maschili invece aiutano moltissimo. Per le persone MTF quindi la voce diventa un vero e proprio cruccio, vissuto con enorme apprensione.
Anche le persone straniere possono fare questo percorso, oppure è compromesso dalla barriera linguistica?
Possono seguire tranquillamente la terapia, indipendentemente dalla loro lingua madre o dalla loro inflessione, perché noi non lavoriamo sul linguaggio, bensì sulla voce.
Lei mette bene in chiaro che, per ottenere risultati, bisogna partire da un corpo in salute. Quali sono gli stili di vita che compromettono la voce?
Durante la raccolta anamnestica verifichiamo se esiste una disfonia, cioè un cattivo uso della voce. In questo caso dobbiamo prima di tutto intervenire per rieducare la voce; potremo iniziare a modificarla solo quando l’avremo portata a uno stato di salute adeguato.
Per quanto riguarda gli stili di vita, se c’è una cosa su cui premo tantissimo è il fumo: le mie pazienti non devono assolutamente fumare, perché questo aggrava la voce. In più andiamo a indagare sulla presenza di reflusso gastroesofageo, perché anch’esso danneggia le corde vocali.
Fermo restando il fatto che ciascuno di noi è diverso dagli altri, la dottoressa Bonadonna sostiene che in media le persone transgender si prendano particolarmente cura del proprio corpo, proprio perché ci tengono così tanto alla transizione. Anche lei ha questa impressione?
Concordo pienamente, di fondo c’è una tenacia caratteriale invidiabile, un grande desiderio che le spinge a lottare. Ed è proprio la tenacia a portare all’efficacia terapeutica, a maggior ragione nella logopedia. Noi logopedisti infatti insegniamo gli esercizi ma poi la paziente li deve ripetere ogni giorno con costanza se vuole ottenere i risultati sperati. In tutta la mia carriera avrò assistito al massimo a un paio di rinunce; tutte le altre persone transgender sono sempre riuscite ad arrivare al loro obiettivo, proprio perché lo volevano davvero.
Per il Centro Italiano Logopedia sono sempre io a occuparmi dei colloqui preliminari: ogni volta, prima ancora di incontrare la persona, so già che in qualche modo mi arricchirà perché mi trasmetterà qualcosa di unico.
Dopo questo colloquio preliminare, come continua il percorso?
Oltre alla raccolta anamnestica, durante il primo colloquio chiedo sempre alla paziente di raccontarmi le sue aspettative e indicarmi un modello di voce a cui vorrebbe ispirarsi. Questo aiuta moltissimo a farle capire dove può realisticamente arrivare con la terapia, in relazione alla sua struttura fisica.
Per comprendere l’aspetto caratteriale della persona che ho davanti, le chiedo sempre qual è il suo nuovo nome e il motivo per cui l’ha scelto. Se per esempio ha coniugato al femminile il suo nome di battesimo, di norma significa che è una persona semplice, che dalla terapia si aspetta risultati pratici e circoscritti senza troppi fronzoli.
Dopo il colloquio conoscitivo si passa alla valutazione della voce, che permette di raccogliere determinati elementi quantitativi e qualitativi. Dopodiché si può iniziare la terapia logopedica, che di norma è costituita da dieci sedute:
– Le prime cinque vengono condotte con un logopedista specializzato nella femminilizzazione della voce.
– È previsto poi un incontro con una “allenatrice comunicativa”, cioè una donna transgender che ha già fatto lo stesso percorso e aiuta in questa fase a stabilizzare gli apprendimenti affrontati fino a quel momento con la logopedista.
– Seguono altre cinque sedute di logopedia finalizzate all’acquisizione di ulteriori aspetti timbrici vocali.
– Infine sono previsti due incontri con l’allenatrice comunicativa che a questo punto può dare indicazioni mirate all’estensione d’uso della nuova voce ai vari contesti di vita o, in generale, suggerimenti rispetto alle criticità di carattere emotivo, come la vergogna o il timore verso le possibili reazioni dell’ascoltatore.
Di solito otteniamo proprio delle belle voci!
Quanto dura complessivamente la terapia?
Le sedute sono in programma una volta alla settimana e nel frattempo la paziente deve eseguire gli esercizi a casa. Nell’arco di due mesi e mezzo si arriva all’obiettivo.
È consigliato iniziare la terapia in un momento preciso del percorso di transizione?
Nel caso della transizione MTF si può iniziare in qualsiasi momento, per la transizione FTM invece conviene iniziare quando la terapia ormonale è già avviata.
Molte transgender MTF fanno ricorso al falsetto. È una strategia che può essere dannosa a lungo termine?
Assolutamente sì, perché va a creare una voce innaturale e ben più grave, quello che noi chiamiamo malmenage e surmenage delle corde vocali. Si genera una disfonia – cioè una voce che non corrisponde alla struttura fisica della persona – ma soprattutto si crea un danno. Io sconsiglio sempre di utilizzare i tutorial per avvicinarsi alla voce femminile, non c’è niente di più sbagliato. Noi calibriamo ogni trattamento su misura, basandoci sulla struttura fisica della paziente e sulle qualità vocali che registriamo durante la valutazione.
La logopedia può anche essere coadiuvante per la fonochirurgia?
Sia la fonochirurgia sia la logopedia hanno l’obiettivo della femminilizzazione della voce. Qualora si scelga la fonochirurgia, quest’ultima va comunque accompagnata dalla logopedia che avrà in questo caso l’obbiettivo di riabilitare la funzione fonatoria e non di educarla come nel caso dell’intervento logopedico esclusivo.
Quali sono i benefici di una “nuova voce”, a livello pratico ed emotivo?
Mi viene in mente una ragazza che un giorno si è presentata in studio letteralmente disperata, perché durante un incontro lavorativo faccia a faccia il suo interlocutore si era rivolto a lei utilizzando il genere maschile. Per le transgender MTF il cambio di voce è fondamentale, perché è il tassello che manca per diventare donna a tutti gli effetti. Spesso ci dicono: “Mi avete cambiato la vita!”.
Se vuoi metterti in contatto con la dottoressa Minelli, visita questa pagina. Potrai anche ascoltare gli audio di alcune pazienti prima e dopo il trattamento, scoprendo che i risultati sono strabilianti!