Tra i momenti più attesi del percorso di transizione di genere, senza dubbio c’è quello della terapia ormonale. Di mese in mese si inizia a percepire il corpo che cambia, avvicinandosi ai tratti tanto desiderati che aiutano a sentirsi davvero sé stessi. È una fase cruciale, quindi, ma anche incredibilmente delicata e potenzialmente rischiosa.
Quando si può cominciare la terapia ormonale per la transizione di genere?
Prima dei farmaci c’è sempre il percorso psicologico, grazie al quale alla persona viene rilasciato un nulla osta alla terapia ormonale. Spesso questo passaggio viene vissuto dalle persone T* come una forzatura, ma in realtà è estremamente protettivo nei loro confronti. La terapia ormonale, infatti, non è priva di rischi e di conseguenze: va quindi prescritta soltanto dopo aver tolto tutti i dubbi sull’esistenza di altre patologie, disturbi, debolezze o situazioni che possano interferire, aumentare i rischi o non essere direttamente correlati alla disforia di genere. Quando la persona è in possesso di questo nulla osta si passa alla valutazione endocrinologica, in cui vengono prescritti parecchi esami volti a verificare che non ci siano controindicazioni.
È prevista un’età minima per iniziare?
Per quanto riguarda gli adulti, la terapia ormonale può essere intrapresa a partire dai 16 anni con la firma dei genitori sul consenso informato; compiuti i 18 anni, a firmare è il paziente. Quello dei bambini invece è un discorso a parte – estremamente delicato – che va gestito da strutture ad hoc.
Quali sono i principali rischi della terapia ormonale per la transizione di genere?
Si tratta dell’unico caso in medicina in cui prendiamo una persona assolutamente sana, le diamo delle medicine e attendiamo gli effetti collaterali. In un certo senso, la facciamo ammalare. Questo è un concetto fondamentale che spesso e volentieri non è chiarissimo. Anche se per le persone transgender è naturale dover prendere delle medicine, non tutti gli endocrinologi sono disponibili a prescriverle perché comportano comunque rischi tromboembolici e, in un certo senso, danneggiano l’organismo. Finora ho citato gli aspetti più critici e delicati, poi ovviamente ci sono tantissime persone che fanno un bel percorso senza grossi intoppi.
Quali farmaci si usano?
La terapia ormonale viene condotta con gli ormoni del sesso opposto, cioè il testosterone per la transizione FtM e gli estrogeni per quella MtF. In questo secondo caso però bisogna prescrivere anche un antagonista degli androgeni, altrimenti il testosterone non si abbassa. A questo punto si presuppone che la persona inizi a vivere pienamente nel ruolo desiderato, che al giorno d’oggi non sempre si può ricondurre al binomio maschio-femmina, visto che esistono tante altre situazioni più di confine.
Un aspetto importante da chiarire è che le terapie sono prescritte al di fuori dell’indicazione del foglietto illustrativo (nella terminologia medica si dice off label). Cosa significa? Che gli estrogeni, per esempio, sono indicati nella pillola a scopo contraccettivo unitamente al progesterone, oppure come terapia ormonale sostitutiva dopo la menopausa. Ad oggi il foglietto illustrativo non contempla il loro impiego per la transizione di genere. Sul foglietto illustrativo del testosterone inoltre c’è indicato di non somministrarlo a soggetti biologicamente femmine.
Quali terapie copre il servizio sanitario nazionale?
Visto che i farmaci vengono usati al di fuori delle indicazioni del foglietto illustrativo, il paziente deve firmare un consenso informato che spiega tutti i rischi e poi riceve la prescrizione su ricetta bianca a pagamento. Il servizio sanitario nazionale non copre queste spese.
Le nuove normative italiane inoltre prevedono che il testosterone sia prescritto solo da tre figure mediche: endocrinologo, oncologo e andrologo. Ciò significa che, in questo caso, il medico di base non può nemmeno consegnare una ricetta bianca.
Cosa c’è scritto nel consenso informato?
Quando il medico sottopone al paziente il consenso informato, deve soffermarsi a spiegare tutti i possibili benefici ed effetti collaterali della terapia.
Va sempre chiarito un concetto fondamentale: noi non possiamo cambiare il DNA di nessuno. Nel DNA di una persona FtM, tutte le cellule sono programmate per avere gli estrogeni come ormone sessuale a disposizione. Nel momento in cui io inizio a darle il testosterone, non ho la minima idea di quale sarà la risposta fenotipica: non so se le crescerà la barba né se smetterà di avere il ciclo mestruale. Io so che di base l’iperandrogenismo (cioè l’eccesso di androgeni nella donna) provoca la crescita dei peli e l’interruzione del ciclo ovarico, ma non ho alcuna certezza sulla risposta precisa di quella singola persona. Posso solo aspettare e vedere cosa succede. Le terapie ormonali per la transizione di genere vanno seguite per tutta la vita, adeguandole all’età.
Come si decide il dosaggio dei medicinali?
Il dosaggio delle terapie al giorno d’oggi non è più fisso, ma dev’essere modificato sulla base delle esigenze e dei desiderata del soggetto. In fin dei conti è quello che accade con qualsiasi altro farmaco: a parità di dosaggio degli ormoni tiroidei, per esempio, alcuni pazienti si sentono più stanchi di altri. Allo stesso modo, ci sono alcune persone MtF che non vogliono mai più avere un’erezione, altre invece desiderano mantenere un’attività sessuale attiva di tipo maschile. A noi medici spetta il compito di bilanciare le terapie a seconda delle necessità, delle richieste e dell’orientamento sessuale del singolo.
Purtroppo capita ancora che le persone transgender si vedano imporre una terapia senza alcuna possibilità di replica, ma questo non è l’approccio giusto. Anzi, ormai esistono addirittura dei percorsi di transizione che non prevedono la terapia ormonale! Insieme all’avvocato Gianmarco Negri, abbiamo contribuito a ottenere il primo adeguamento di genere anagrafico in Italia per una persona che non poteva seguire la terapia farmacologica. Nel suo caso entravano in gioco motivazioni mediche importanti, ma il prossimo grande obiettivo sarà quello di garantire questo diritto anche a chi semplicemente non desidera i farmaci.
Quanto sono frequenti le visite di controllo?
Per il primo anno le terapie vanno monitorate con molta attenzione almeno ogni tre mesi. Poi, se tutto va bene, si possono dilazionare un po’ i tempi.
Noi medici facciamo riferimento a un documento congiunto rilasciato dalle principali società scientifiche endocrinologiche mondiali, che contiene precise indicazioni terapeutiche (compatibilmente con il fatto che la disponibilità di farmaci cambi di Paese in Paese). Queste linee guida ci suggeriscono come comportarci, ma ci dicono anche con certezza cosa non dobbiamo fare.
Faccio un esempio. In questo momento le linee guida controindicano fortemente l’uso del progesterone nella terapia di transizione, perché alza il rischio tromboembolico. Questo ormone è stato usato (e abusato) per tanto tempo, perché fa crescere le mammelle. Ultimamente iniziano a essere pubblicati alcuni trial clinici che forse, tra qualche anno, porteranno le autorità scientifiche a riammetterlo: fino a quel momento, però, noi ci dovremo attenere alle indicazioni ufficiali e non lo prescriveremo.
Molte persone transgender reperiscono gli ormoni sottobanco, affidandosi a internet o agli amici. Quali sono i rischi?
L’autoprescrizione è un disastro, perché la percentuale di errori è altissima.
I grandi problemi di base sono due. Il primo è la tendenza a generalizzare: una persona chiede un consiglio al proprio medico e poi lo “passa” agli amici, dimenticandosi nel fatto che ogni organismo reagisce in modo diverso. Il secondo è la reperibilità dei farmaci, che può risultare parecchio complicata soprattutto per il testosterone. Su questo fronte, però, noi medici abbiamo un ruolo importante. Spetta a noi il compito di mostrarci disponibili, cercare alternative, illustrare i pro e i contro di ogni terapia e far capire che è indispensabile attenersi alle indicazioni e fare i controlli.
Bisogna anche ricordare che di solito le persone transgender sono molto attente alla propria salute, perché tengono tantissimo al loro percorso e sanno che comporta una serie di rischi.
In Italia tante persone transgender sono di origini straniere. Per loro è più difficile capire la lingua e trovare il professionista giusto a cui rivolgersi?
Sicuramente. C’è un mondo fatto di persone emarginate, prive di permesso di soggiorno, a volte legate alla prostituzione. Stiamo parlando di casi estremamente delicati che difficilmente bussano direttamente alla porta dell’endocrinologo, ma nella maggior parte dei casi ci vengono indirizzati da altre realtà.
Bisogna anche considerare che questa è una medicina “difficile”, che va spiegata. Noi medici dobbiamo investire un po’ di tempo per accertarci del fatto che i concetti vengano colti in maniera corretta.
In ogni caso, non si può fare di tutta l’erba un fascio. C’è la ragazza che arriva dal Sudamerica senza documenti ma ha un’alimentazione corretta e fa attività fisica, e c’è l’italiana benestante che contravviene alle indicazioni del medico. Le persone sono persone. Quando si rivolgono al medico, l’ago della bilancia è la mia capacità di convincerle a seguire la terapia in maniera adeguata.
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